"Il tramonto della luna è l'ultima sua poesia,
l'ultimo suo sospiro"
(29 Giugno 1798- Napoli 14 Giugno 1837)
Il Tramonto della Luna è l'ultima poesia composta da Giacomo Leopardi. Fu scritta nella primavera del 1836 e pare che sia stata terminata nelle sue ultime ore dettando il testo all'amico Antonio Ranieri.
Con una bellissima similitudine tra il tramonto della luna e quello della giovinezza, tra vita della natura e vita dell'uomo il poeta sottolinea gli aspetti tristi della brevità e della fugacità della giovinezza e delle sue dolci illusioni a cui segue la vecchiaia, che vede appassire le illusioni e concludersi con la morte. Gli dei sono i responsabili della vita dell’uomo che sparita la giovinezza, non si colora più di altra luce, mentre quella della natura vedrà di nuovo il sole con una luce più intensa e gioiosa di quella della luna.
"La luna tramonta al mattino dietro i monti dell'Appennino o nelle acque del golfo di Napoli; il mondo s'immerge nel buio e svanisce l'affascinate alternativa di ombre e luci e la notte resta oscura; e il carrettiere solitario che va per la strada, cantando mestamente si congeda da quella luce che l'accompagnava; così la giovinezza si dilegua e lascia poi la vita, fuggono le ombre delle ingannevoli illusioni umane, si perdono le speranze a cui la vita si teneva aggrappata, e la vita resta oscura e abbandonata. Invano il viandante, cioè l'uomo, cerca una ragione che giustifichi il suo camminare, la sua esistenza s'accorge che l'umana sede gli è diventata estranea e che egli, a sua volta, e diventato estraneo al mondo.
Troppo felice e lieta sarebbe la nostra sorte se la giovinezza durasse tutta la vita. Simile a questa parte delle notte che segue il tramonto della luna, simile a questo buio, gli dei, con mente raffinata escogitarono la vecchiaia durante la quale si spegne ogni desiderio, ogni speranza, ogni fonte di piacere; la vecchiaia che è un supplizio tanto terribile da superare ogni altro e da costituire l'estremo di tutti i mali, ed è assai più dura della morte.
Questo paesaggio, caduto lo splendore che all'occidente inargentava il velo della notte, non resterà a lungo privo di luce, perché dall'altra parte presto, nel cielo, sorgerà il sole, che possente inonderà il mondo; ma la vita mortale, dopo la giovinezza, è svanita, non si colora mai di altra luce fino alla fin; ed al suo termine v'e solo una tomba."
(tratto dalla pubblicazione "Giacomo Leopardi fra Napoli e Torre del Greco" a cura di Ciro di Cristo - collana Pro Loco Torre del Greco)
"La luna tramonta al mattino dietro i monti dell'Appennino o nelle acque del golfo di Napoli; il mondo s'immerge nel buio e svanisce l'affascinate alternativa di ombre e luci e la notte resta oscura; e il carrettiere solitario che va per la strada, cantando mestamente si congeda da quella luce che l'accompagnava; così la giovinezza si dilegua e lascia poi la vita, fuggono le ombre delle ingannevoli illusioni umane, si perdono le speranze a cui la vita si teneva aggrappata, e la vita resta oscura e abbandonata. Invano il viandante, cioè l'uomo, cerca una ragione che giustifichi il suo camminare, la sua esistenza s'accorge che l'umana sede gli è diventata estranea e che egli, a sua volta, e diventato estraneo al mondo.
Troppo felice e lieta sarebbe la nostra sorte se la giovinezza durasse tutta la vita. Simile a questa parte delle notte che segue il tramonto della luna, simile a questo buio, gli dei, con mente raffinata escogitarono la vecchiaia durante la quale si spegne ogni desiderio, ogni speranza, ogni fonte di piacere; la vecchiaia che è un supplizio tanto terribile da superare ogni altro e da costituire l'estremo di tutti i mali, ed è assai più dura della morte.
Questo paesaggio, caduto lo splendore che all'occidente inargentava il velo della notte, non resterà a lungo privo di luce, perché dall'altra parte presto, nel cielo, sorgerà il sole, che possente inonderà il mondo; ma la vita mortale, dopo la giovinezza, è svanita, non si colora mai di altra luce fino alla fin; ed al suo termine v'e solo una tomba."
(tratto dalla pubblicazione "Giacomo Leopardi fra Napoli e Torre del Greco" a cura di Ciro di Cristo - collana Pro Loco Torre del Greco)
Oggi, nell'anniversario della nascita del poeta, mi piace ricordarlo così, proprio mentre odo da Villa delle Ginestre una dolce melodia in sua celebrazione e una meravigliosa mezza luna brilla in cielo come non mai!:)
Il Tramonto della luna
dai Canti di Giacomo Leopardi
Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là 've zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l'ombre lontane
Infra l'onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell'infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l'ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L'estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua, e tale
Lascia l'età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l'ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l'umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S'anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D'intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all'occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall'altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l'alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D'altra luce giammai, nè d'altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l'altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
The Setting of the Moon is the last poem composed by Giacomo Leopardi. It was written in the spring of 1836 and have been completed in his last hours dictated by him to his friend Antonio Ranieri.
With a beautiful similarity between moon and youth sunset, between the life of nature and the life of man, the poet emphasizes the sad aspects of the brevity and fugacity of youth with sweet illusions followed by old age that end with death. Gods are responsible for the life of man who has lost his youth, no more light than the other, while the nature of the sun will again see the sun with a more intense and joyful moon light.
Today, on the anniversary of his birth, I like to remember the poet, while I'm hearing from Villa delle Ginestre a sweet melody in his celebration and a wonderful half moon hanging lonely in the sky!:)
The Setting Of The Moon
Poem by Giacomo Leopardi
As, in the lonely night,
Above the silvered fields and streams
Where zephyr gently blows,
And myriad objects vague,
Illusions, that deceive,
Their distant shadows weave
Amid the silent rills,
The trees, the hedges, villages, and hills;
Arrived at heaven's boundary,
Behind the Apennine or Alp,
Or into the deep bosom of the sea,
The moon descends, the world grows dim;
The shadows disappear, darkness profound
Falls on each hill and vale around,
And night is desolate,
And singing, with his plaintive lay,
The parting gleam of friendly light
The traveller greets, whose radiance bright,
Till now, hath guided him upon his way;
So vanishes, so desolate
Youth leaves our mortal state.
The shadows disappear,
And the illusions dear;
And in the distance fading all, are seen
The hopes on which our suffering natures lean.
Abandoned and forlorn
Our lives remain;
And the bewildered traveller, in vain,
As he its course surveys,
To find the end, or object tries,
Of the long path that still before him lies.
A hopeless darkness o'er him steals;
Himself an alien on the earth he feels.
Too happy, and too gay
Would our hard lot appear
To those who placed us here, if youth,
Whose every joy is born of pain,
Through all our days were suffered to remain;
Too merciful the law,
That sentences each animal to death,
Did not the road that leads to it,
E'er half-completed, unto us appear
Than death itself more sad and drear.
Thou blest invention of the Gods,
And worthy of their intellects divine,
Old age, the last of all our ills,
When our desires still linger on,
Though every ray of hope is gone;
When pleasure's fountains all are dried,
Our pains increasing, every joy denied!
Ye hills, and vales, and fields,
Though in the west hath set the radiant orb
That shed its lustre on the veil of night,
Will not long time remain bereft,
In hopeless darkness left?
Ye soon will see the eastern sky
Grow white again, the dawn arise,
Precursor of the sun,
Who with the splendor of his rays
Will all the scene irradiate,
And with his floods of light
The fields of heaven and earth will inundate.
But mortal life,
When lovely youth has gone,
Is colored with no other light,
And knows no other dawn.
The rest is hopeless wretchedness and gloom;