venerdì 21 aprile 2017

Una Tea Room molto speciale...

"Alle nove preparava la colazione, era quella la sua parte di
faccende domestiche. La provvista di tè e zucchero, era compito
suo, oltre al vino".
(tratto da Mia zia Jane Austen. Ricordi
 Caroline Austen, trad, G. Ierolli)

Gli inglesi oggi festeggiano la Giornata Nazionale del Tè! Nella giornata di celebrazione di questa famosa bevanda mi torna un luogo simbolo della vita Jane Austen: il cottage di Chawton, oggi museo dedicato alla scrittrice e la sala da Tè situata proprio di fronte il cui nome è proprio ispirato a Cassandra, la tanto amata sorella di Jane (anche la mamma si chiamava così!).
Cassandra's Cup Tea Room è un luogo caldo ed accogliete, meta obbligatoria per chi si reca a Chawton in visita alla casa in cui Jane Austen trascorse gli ultimi otto anni della sua vita e dove oggi si trova ancora il celebre tavolino, appoggio di tante ore trascorse nello scrivere.
All'interno della sala da tè è impossibile resistere a non fotografare il soffitto con tanto di tazze appese! Adorabili!


La facciata dell'edificio è molto semplice, sobria, pare quasi non voglia togliere luce e splendore alla casa della scrittrice posta dal lato opposto.


...Noi abbiamo gustato una tazza di tè e dei dolcetti ...


... godendo di un vero spettacolo nell'osservare attraverso i vetri il 
Jane Austen's House Museum ...

"La casa stava nel villaggio di Chawton, a circa un miglio da Alton, sul lato destro proprio dove la strada per Winchester si dirama da quella per Gosport. Era così vicina alla strada che la porta di ingresso si apriva su di essa, mentre uno spazio molto stretto, recintato da entrambi i lati, proteggeva l'edificio dal rischio di essere colpito da qualche veicolo che andasse fuori strada". 
(Ricordo di Jane Austen e altri ricordi familiari, J E Austen-Leight, Trad. G. Ierolli)


"Ora seguiremo di nuovo Miss Austen nella sua casa di Chawton, il cottage dal quale tutte le sue opere di sono sparse nel mondo".
(Jane Austen i luoghi e gli amici, Constance Hill, ed. Jo March)


Questo è un luogo speciale per chi ama Jane Austen e non solo! La visita ti rende questa donna più reale. Hai la sensazione che quasi puoi essere lì con lei!. Anche solo per un istante, puoi chiudere gli occhi e sentire il suono del pianoforte o il rumore di una carrozza che passa proprio all'angolo fuori!
E' come se ad un certo punto, dopo aver letto i suoi romanzi, visto le trasposizioni cinematografiche e letto pure qualche sequel e spin-off, tutto ciò non bastasse e si sente il bisogno di 'avere' di più! 
Alla fine puoi descrivere i luoghi, quello che hai visto, ma le emozioni, quelle vere, te le senti dentro e te le riporti con te al ritorno a casa.

mercoledì 12 aprile 2017

Il fascino di una traduzione


E' incredibilmente difficile il mestiere di traduttore!. Occorre avere esperienza e conoscere perfettamente la lingua originale, lo stile e la scrittura dell'autore. Ma non basta ...bisogna avere il coraggio di saper osare....e conoscere perfettamente anche la lingua di destinazione dell'opera...insomma non è un mestiere da tutti! Spesso quando leggo i libri in italiano mi domando....chissà com'è riportato nell'edizione originale? :)
La traduzione dell'incipit di Jane Eyre nell'edizione BUR del 1951 mi ha riservato una bella sorpresa. L'ho trovata molto poetica, decisamente diversa se la confrontiamo con le altre edizioni più recenti! Provate a prendere la vostra copia di Jane Eyre e confrontate!
Buona lettura!:) 


Impossibile uscire a passeggio quel giorno. Avevamo, è vero, camminato per un'ora nell'albereta ormai spoglia, durante la mattinata; ma all'ora di colazione (la signora Reed faceva colazione presto, quando non aveva ospiti) il vento freddo aveva ammassato una nuvolaglia così fosca, seguita da una pioggia tanto penetrante, che non era più il caso di pensare a un po' di esercizio all'aperto quel pomeriggio.
Ma io ero contenta; non mi piacevano le lunghe passeggiate, specie nei pomeriggi d'inverno; detestavo ritornare a casa nella luce grigia del crepuscolo, con mani e piedi intirizziti e il cuore triste per i rimproveri di Bessie, la bambinaia, e umiliata dalla consapevolezza della mia inferiorità fisica rispetto a Eliza, John e Georgiana Reed.
I nominati Eliza, John e Georgiana si trovavano ora in salotto, riuniti intorno alla loro mamma; ella se ne stava sdraiata su di un divano accanto al caminetto e, circondata dai suoi diletti (che per il momento non bisticciavano né strillavano) appariva felice. Quanto a me, mi aveva dispensata dall'unirmi al gruppo dicendo che "le rincresceva di dovermi tenere a distanza ma che sino a quando Bessie non le avesse detto e lei stessa non avesse avuto modo di convincersi che io mi sforzavo seriamente di diventare più socievole ed espansiva, e di acquistare modi più amabili e spontanei - mi voleva più allegra, più franca, più infantile, insomma - era costretta a escludermi da quei privilegi che si concedono soltanto ai bambini spensierati, felici e soddisfatti.".
(Jane Eyre, Charlotte Brontë, Edizione, Bur 1951)

There was no possibility of taking a walk that day. We had been wandering, indeed, in the leafless shrubbery an hour in the morning; but since dinner (Mrs. Reed, when there was no company, dined early) the cold winter wind had brought with it clouds so sombre, and a rain so penetrating, that further out-door exercise was now out of the question.
I was glad of it: I never liked long walks, especially on chilly afternoons: dreadful to me was the coming home in the raw twilight, with nipped fingers and toes, and a heart saddened by the chidings of Bessie, the nurse, and humbled by the consciousness of my physical inferiority to Eliza, John, and Georgiana Reed.
The said Eliza, John, and Georgiana were now clustered round their mama in the drawing-room: she lay reclined on a sofa by the fireside, and with her darlings about her (for the time neither quarrelling nor crying) looked perfectly happy. Me, she had dispensed from joining the group; saying, "She regretted to be under the necessity of keeping me at a distance; but that until she heard from Bessie, and could discover by her own observation, that I was endeavouring in good earnest to acquire a more sociable and childlike disposition, a more attractive and sprightly manner- something lighter, franker, more natural, as it were--she really must exclude me from privileges intended only for contented, happy, little children".
(Jane Eyre, Charlotte Brontë)


domenica 2 aprile 2017

Once upon a time...

H. C. Andersen a writer and Danish poet, was born on April 2, 1805.  He wrote many texts including poems, novels, plays and poems but today he is best rembered for his 156 fairy tales, all unforgettable!
On the day of the anniversary of his birth I love to read at least one of them! It has been an hard choise but here I preferred What happened to the thistle ... (perhaps I was attracted by the beautiful illustration from a collection of novel that my grandmother gave me in 1976!)

Il 2 Aprile del 1805 nasceva H. C. Andersen scrittore e poeta danese. Andersen scrisse tantissimi testi tra poesie, romanzi, opere teatrali, scritti vari ma è soprattutto per la sua grande produzione di fiabe che viene ricordato ovunque. Ne scrisse 156 tutte indimenticabili!
Nel giorno della ricorrenza della sua nascita perchè non tornare bambini, fermarci e leggerne almeno una? Tra le tante io ho scelto una a caso chiamata Le vicende del cardo...(forse sono stata attirata dalla bellissima illustrazione tratta della raccolta di novelle regalo della mia nonna nel 1976!)


WHAT HAPPENED TO THE THISTLE
Adjoining the rich estate was a lovely and beautifully kept garden of rare trees and flowers. Guests at the estate enjoyed this fine garden and praised it. People from the countryside all round about and townspeople as well would come every Sunday and holiday to ask if they might see the garden. Even whole schools made excursions to it.
Just outside the fence that separated the garden from a country lane, there grew a very large thistle. It was so unusually big with such vigorous, full-foliaged branches rising from the root that it well deserved to be called a thistle bush. No one paid any attention to her except one old donkey that pulled the dairymaid's cart. He would stretch his old neck toward the thistle and say, "You're a beauty. I'd like to eat you!" But his tether was not long enough to let him reach the thistle and eat her.
There was a big party at the manor house. Among the guests were fine aristocratic relations from the capital - charming young girls, and among them was a young lady who had come from a foreign land, all the way from Scotland. Her family was old, and noble, and rich in lands and gold. She was a bride well worth winning, thought more than one young man, and their mothers thought so too.
The young people amused themselves on the lawn, where they played croquet. As they strolled about in the garden, each young lady plucked a flower and put in a young man's buttonhole. The young lady from Scotland looked all around her for a flower. But none of them suited her until she happened to look over the fence and saw the big, flourishing thistle bush, full of deep purple, healthy-looking flowers. When she saw them she smiled, and asked the young heir of the household to pick one of them for her.
"That is Scotland's flower," she said. "It blooms on my country's coat of arms. That's the flower for me."
He plucked the best flower of the thistle, and pricked his finger in the process as much as if he had torn the blossom from the thorniest rose bush.
When she put it in his buttonhole, he considered it a great honor. Every other young man would gladly have given his lovely garden flower for any blossom from the slender fingers of the girl from Scotland. If the heir of the household felt himself highly honored, how much more so the thistle! She felt as full as if the sunshine and dew went through her.
"I must be more important than I thought," she said to herself. "I really belong inside, not outside the fence. One gets misplaced in the world, but I now have one of my offspring not only over the fence but actually in a buttonhole!"
To every one of her buds that bloomed, the thistle bush told what had happened. Not many days went by before she heard important news. She heard it not from passers-by, nor from the chirping of little birds, but from the air itself, which collects sounds and carries them far and wide - from the shadiest walks of the garden and from the furthest rooms of the manor, where doors stood ajar and windows were left open. She heard that the young man who got the thistle flower from the slender fingers of the girl from Scotland, now had won her heart and hand. They made a fine couple, and it was a good match.
"I brought that about," the thistle believed, thinking of how her flower had been chosen for the gentleman's buttonhole. Each new bud that opened was told of this wonderful happening.
"Undoubtedly I shall now be transplanted into the garden," thought the thistle. "Perhaps they will even pinch me into a flowerpot, which is the highest honor of all." She thought about this so long that at length she said with full and firm conviction, "I am to be planted in a flowerpot."
Every little thistle bud which opened was promised that it too would be put in a pot, perhaps even in a buttonhole, which was the highest it could hope to go. But not one of them reached a flowerpot, much less a buttonhole. They lived upon light and air. By day they drank sunshine, by night they drank dew, and were visited by bees and wasps who came in search of a dowry - the honey of the flower. And they took away the honey, but left the flowers behind.
"Such a gang of robbers!" said the thistle bush. "I'd like to stick a thorn through them, but I can't."
Her flowers faded and fell away, but new ones came in their place. "You have come as if you were called for," the thistle bush told them. "I expect to cross the fence any minute now."
A couple of innocent daisies and some tall, narrow-leaved canary grass listened with deepest admiration, and believed everything that they heard. The old donkey, who had to pull the milk cart, looked longingly at the blooming thistle bush and reached out for it, but his tether was too short.
The thistle thought so hard and so long about the Scotch thistle, whom she considered akin to her, that she began to believe that she herself had come from Scotland and that it was her own ancestors who had grown on the Scottish arms. This was toplofty thinking, but then tall thistles are apt to think tall thought.
"Sometimes one is of more illustrious ancestry than he ventures to suppose," said a nettle which grew near-by. It had a notion that it could be transformed into fine muslin if properly handled.
Summer went by, and fall went by, and the leaves fell from the trees. The flowers were more colorful, but less fragrant. On the other side of the fence the gardener's boy sang:
"Up the hill and down the hill,
That's the way the world goes still."
And the young fir trees in the woods began to look forward to Christmas, though Christmas was a long time off.
"Here I still stay," said the thistle. "It is as if nobody thinks of me any more, yet it was I who made the match. They were engaged, and now they have been married. That was eight days ago. But I haven't progressed a single step - how can I?"
Several weeks went by. The thistle had one last, lonely flower. Large and full, it grew low, near the root. The cold wind blew over it, its color faded, its splendor departed. Only the thistle-shaped cup remained, as large as an artichoke blossom, and as silvery as a sunflower.
The young couple, who now were man and wife, came down the garden walk along the fence. The bride looked over the fence, and said, "Why, there still stands the big thistle, but it hasn't a flower left."
"Yes, there's the ghost of one - the very last one." Her husband pointed to the silvery shell of the flower - a flower itself.
"Isn't it lovely!" she said. "We must have one just like that carved around the frame of our picture."
Once again the young man had to climb the fence, and pluck the silvery shell of the thistle flower. It pricked his fingers well, because he had called it a ghost. Then it was brought into the garden, to the mansion, and to the parlor. There hung a large painting - "The Newly Married Couple!" In the groom's buttonhole a thistle was painted. They spoke of that thistle flower, and they spoke of this thistle shell, this last silvered, shining flower of the thistle which they had brought in with them, and which was to be copied in the carving of the frame. The air carried their words about, far and wide.
"What strange things can happen to one," said the thistle. "My oldest child was put in a buttonhole, and my youngest in a picture frame. I wonder where I shall go."
The old donkey by the roadside looked long and lovingly at the thistle. "Come to me, my sweet," he said. "I cannot come to you because my tether is not long enough."
But the thistle did not answer. She grew more and more thoughtful, and she thought on right up to Christmas time, when this flower came of all her thinking:
"When one's children are safe inside, a mother may be content to stand outside the fence."
"That's a most honorable thought," said the sunbeam. "You too shall also have a good place."
"In a flowerpot or in a frame?" the thistle asked.
"In a fairy tale," said the sunbeam. And here it is.



LE VICENDE DEL CARDO
Vicino a una bella casa si trovava un bellissimo giardino ben tenuto, con alberi e fiori piuttosto rari. Gli ospiti esprimevano la loro ammirazione per quelle piante, la gente dei dintorni veniva dalla campagna e dalle città di domenica e negli altri giorni di festa e chiedeva il permesso di visitare il giardino, intere scuole si presentavano per lo stesso scopo.
Fuori dal giardino, appoggiato a uno steccato vicino alla strada dei campi, si trovava un grande cardo; era molto grande, ramificato già sin dalla radice così da allargarsi parecchio, e quindi si poteva ben chiamare un cespuglio di cardo. Nessuno lo guardava, eccetto il vecchio asino che tirava il carro del latte delle mungitrici; quello allungava il collo verso il cardo dicendo: «Sei bello, potrei mangiarti!». Ma la corda non era abbastanza lunga e l'asino non riusciva a arrivare.
C'era una grande festa in giardino; famiglie nobili della capitale, fanciulle molto graziose, e tra queste una signorina che veniva da molto lontano, dalla Scozia, e era di alto casato ricca di beni e di oro: una sposa che valeva proprio la pena di conquistare, dicevano parecchi giovani signori in accordo con le loro madri.
La gioventù si riunì su un prato giocando a croquet; camminavano tra i fiori, e ognuna delle fanciulle ne colse uno e lo mise all'occhiello di uno dei giovanotti; ma la ragazza scozzese si guardò a lungo intorno, scartando in continuità: nessuno dei fiori sembrava le piacesse; infine guardò oltre
10 steccato, là fuori c'era quel grande cespuglio di cardo con i robusti fiori rossi e blu, li vide, sorrise e chiese al figlio del padrone di coglierne uno.
«È il fiore della Scozia!» esclamò. «Splende sullo stemma del mio Paese; me lo colga.»
Così lui andò a prendere il più bello, ma si punse le dita; era come se la più aguzza spina di rosa crescesse su quel fiore.
La ragazza lo infilò nell'occhiello di quel giovane, e lui si sentì molto onorato. Ognuno degli altri giovani avrebbe volentieri rinunciato al proprio fiore per poter portare quello donato dalle mani delicate di quella fanciulla scozzese. Se il figlio del padrone si sentiva onorato, pensate come si sentiva il cespuglio di cardo: fu come tutto pervaso di rugiada e di sole.
"Valgo più di quanto non credessi!" disse tra sé. "In realtà dovrei trovarmi dentro lo steccato, non fuori. Ma si è messi al mondo in modo così strano! Però ora uno dei miei fiori è passato oltre lo steccato e se ne va in giro all'occhiello."
A ogni gemma che gli spuntava e che sbocciava, la pianta raccontava quell'evento, e non passarono molti giorni che il cardo venne a sapere, non dagli uomini, non dagli uccelli, ma dall'aria stessa che conserva e ripropone ogni suono, e che veniva dai viali più interni del giardino e dalle stanze stesse della casa, dove le finestre e le porte stavano aperte, che il giovane che aveva ricevuto quel fiore di cardo dalle manine delicate della fanciulla scozzese, ora aveva ottenuto la sua mano e il suo cuore. Era proprio una bella coppia, un ottimo matrimonio.
"Io li ho uniti!" pensò la pianta di cardo, ricordando il fiore che era stato messo all'occhiello. Ogni fiore che spuntò venne a sapere dell'avvenimento.
"Ora verrò certo trapiantato nel giardino!" pensava. "Forse sarò messo in un vaso che stringe: sembra sia il massimo degli onori."
Il cardo ci pensò tanto che alla fine disse con grande convinzione: "Andrò nel vaso!."
Prometteva a ogni fiorellino che spuntava che anche lui sarebbe finito nel vaso, forse in un occhiello; e che quella era la più alta onorificenza che si potesse raggiungere. Ma nessuno finì nel vaso, e neppure in un occhiello. Ricevevano aria e luce, si godevano il sole di giorno e la rugiada di notte, fiorivano, venivano visitati da api e da vespe che cercavano la dote, il loro miele, e la prendevano, ma loro lasciavano correre. «Che briganti!» diceva la pianta di cardo. «Se solo potessi infilzarli! Ma non posso.»
I fiori piegavano il capo, languivano, ma ne sopraggiungevano di nuovi.
«Arrivate come se foste stati chiamati» diceva il cardo. «Ogni momento aspetto che vengano a trasferirci al di là dello steccato.»
Alcune margheritine innocenti e alte erbe lì vicine ascoltavano con grande ammirazione, credendo a tutto quel che veniva detto.
II vecchio asino del carro del latte sbirciava dal ciglio della strada verso quel cardo in fiore, ma la corda era sempre troppo corta per raggiungerlo.
Il cardo pensò così a lungo al cardo della Scozia, del quale si sentiva parente, che credette di venire dalla Scozia e che i suoi genitori in persona fossero cresciuti sullo stemma del regno. Era un grande pensiero, ma quel grande cardo poteva ben avere grandi pensieri.
«Spesso si proviene da famiglie così distinte che non si osa neppure saperlo» disse l'ortica che cresceva lì vicino Anche lei aveva la sensazione che sarebbe potuta diventare "mussolina" se fosse stata trattata nel modo giusto.
Giunse l'estate, poi l'autunno, le foglie caddero dagli alberi, i fiori si colorarono più intensamente ma con meno profumo. L'apprendista del giardiniere cantava in giardino di là dallo steccato:
Su per la collina, giù per la collina, tutto l'anno si cammina!
I giovani abeti del bosco cominciarono a avere nostalgia di Natale, ma c'era ancora tempo per Natale.
«Io sono ancora qui!» disse il cardo. «Sembra che nessuno abbia pensato a me; e pensare che ho combinato io il matrimonio; si sono fidanzati, e hanno festeggiato il matrimonio già otto giorni fa. Io invece non faccio nemmeno un passo perché non posso.»
Passarono altre settimane, il cardo ora si trovava col suo ultimo e unico fiore, grande e rigoglioso, che era spuntato proprio vicino alla radice. Il vento soffiava freddo su di lui, i colori svanirono, la bellezza svanì, il calice del fiore, grande come quello di un fusto di pisello, appariva ora come un girasole d'argento.
Allora giunse nel giardino quella giovane coppia, ora marito e moglie: camminavano lungo lo steccato, e la giovane donna guardò oltre.
«Il grande cardo è ancora lì!» esclamò. «Ora non ha più fiori.»
«Ma c'è il fantasma dell'ultimo!» rispose il marito, e indicò quel resto argentato del fiore, che pure era un fiore.
«È bello!» disse lei. «Uno così dovremmo intagliarlo nella cornice intorno al nostro ritratto.»
Così il giovane dovette di nuovo scavalcare lo steccato e cogliere il calice del cardo. Si punse le dita, anche se lo aveva chiamato "fantasma." Così quello entrò nel giardino, nella casa, nel salone dove c'era un quadro: La giovane coppia. All'occhiello dello sposo era disegnato un fiore di cardo. Si parlò di quello e si parlò del calice del fiore che loro avevano portato, l'ultimo fiore del cardo che brillava d'argento e che doveva essere intagliato nella cornice.
L'aria portò fuori il discorso, lontano.
«Cosa mi deve succedere!» disse il cespuglio di cardo. «Il mio primogenito finì nell'occhiello e il mio ultimogenito nella cornice. Dove finirò io?»
E l'asino stava sempre sul ciglio della strada sbirciando verso la pianta.
«Vieni da me, mio caro! Io non riesco a venire fin da te, la corda non è abbastanza lunga!»
Ma il cespuglio di cardo non rispose, continuava a pensare, pensò e pensò fino a Natale, e allora il pensiero fiorì.
«Quando i figli sono sistemati, una madre si può adattare a rimanere fuori dallo steccato!»
«È un pensiero dignitoso!» disse il raggio di sole. «Anche lei avrà un buon posto!»
«Nel vaso o nella cornice?» chiese il cardo.
«In una fiaba!» rispose il raggio di sole.
Eccola qui.

sabato 1 aprile 2017

April

Have you got a vintage calendar stored in an old chest of yours? I've got so many of them and every year I try to recycle some of my oldest ones!  I'm often lucky!:) Check if you have got a calendar of 2000 and hang it as soon as possible!
Since March of this year you could use it! It doesn't matter that the date of Easter does not correspond ... the rest is all the same !! :)


The Grass so little has to do 
by Emily Dickinson

The Grass so little has to do 
A Sphere of simple Green  
With only Butterflies to brood
And Bees to entertain 
And stir all day to pretty Tunes
The Breezes fetch along 
And hold the Sunshine in its lap
And bow to everything 
And thread the Dews, all night, like Pearls
And make itself so fine
A Duchess were too common 
For such a noticing 
And even when it dies – to pass
In Odors so divine 
Like Lowly spices, lain to sleep  
Or Spikenards, perishing 
And then, in Sovereign Barns to dwell  
And dream the Days away, 
The Grass so little has to do
I wish I were a Hay 

Risultati immagini per vintage flower drawn

L'erba ha poco da fare
Emily Dikinson

L'Erba ha così poco da fare -
Una Sfera di semplice Verde -
Con solo Farfalle da covare
E Api da intrattenere -

E agitarsi tutto il giorno alle amabili Melodie
Che le Brezze portano con sé -
E tenere la Luce del Sole in grembo
E inchinarsi ad ogni cosa -

E infilare Gocce di Rugiada, tutta le notte, come Perle -
E farsi così fine
Che una Duchessa sarebbe troppo comune
Per degnarla di uno sguardo -

E anche quando muore - trapassare
In Odori così divini -
Come Umili spezie, che giacciono nel sonno -
O Nardi indiani, morenti -

E poi, in Sovrani Fienili dimorare -
E sognare i Giorni lontani,
L'Erba ha così poco da fare
Che vorrei essere Fieno -

(traduzione tratta dal sito http://www.emilydickinson.it/ a cura di G. Ierolli)

Avete conservato in un baule in soffitta un vecchio calendario? Io ne ho tanti ed ogni anno 'sbircio' per vedere se posso riciclarne qualcuno! Spesso mi va bene.! Date un occhiata e, se trovate quello bello dell'anno 2000 che avete scrupolosamente messo da parte, tiratelo fuori ed appendetelo! Già dal mese di Marzo di quest'anno si poteva utilizzare! Poco importa che i giorni di Pasqua non coincidono...per il resto dell'anno è tutto lo stesso!!:)